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Marras e il sequestro della democrazia. Lettera di Pino Tilocca

9 novembre 2010

Pino Tilocca è preside di una scuola, ma dal 2000 al 2005 è stato sindaco del piccolo comune di Burgos. Ha pagato a prezzo altissimo il suo impegno politico, per cui è stato vittima di diverse intimidazioni: nel febbraio 2004 suo padre Bonifacio è rimasto ucciso per una bomba collocata dietro l’uscio di casa e rivolta a lui. I colpevoli sono rimasti impuniti.

Ho pensato molto in questi quindici giorni dal duplice attentato di Ottana se fosse il caso di intervenire pubblicamente e per dire cosa.

Tanti, come solito dopo attentati, parlano, pochi con serietà, molti perché è loro dovere farlo in virtù dei ruoli che occupano.

Ed allora è evidente che la retorica e il vuoto di sostanza si sprecano in questo mare di chiacchiere che poi si quietano in attesa del prossimo scoppio.

Ho pensato di dire a Gian Paolo Marras di tenere duro, di tenere duro sulla sua decisione di dare le dimissioni, intendo; perché la situazione degli amministratori comunali di fronte alla violenza è identica a sei anni di distanza a quella in cui mi sono trovato io.

Aggravata dal fatto che il tempo è passato inutilmente.

Denunciavo allora la mancanza di comprensione di questo fenomeno delinquenziale e di conseguenza la mancanza di strategie investigative e repressive adeguate; ebbene nonostante altre centinaia di attentati di bassa e alta intensità siamo allo stesso punto di allora.

Non si è capaci di individuare i gruppi che nei paesi della Sardegna, e che non raramente sono in contatto fra di loro, non esitano ad utilizzare forme di violenza crescenti per condizionare e torcere ai loro privati interessi l’azione amministrativa.

Eppure se si volesse non si farebbe molta fatica ad individuarli e monitorarli nei loro movimenti, nei loro rapporti, a contrastarli nella sfida non di rado esplicita alla buona amministrazione.

Non sarebbe difficile, le ragioni sono sempre le stesse: cantieri forestali, uso delle terree pubbliche, edilizia. Più qualcos’altro di specifico nei vari paesi.

Eppure nessuno sforzo è stato compiuto in questa direzione, anzi, il contesto è stato peggiorato dalla presuntuosa, frettolosa, arrogante e dannosa visita del ministro Maroni, che, sulla base di statistiche descrittive di niente, ha derubricato il problema a questione di scarso livello, dimostrando di non capirne la dimensione e la profondità.

Può darsi, come lui dice, che gli attentati ai sindaci non siano azioni condotte dalla criminalità organizzata come in altre regioni del sud Italia; ma solo uno sguardo superficiale porta a non capire che si è creato un contesto ambientale, contrastato da nessuna azione dello Stato, in cui l’intimidazione ai sindaci è diventata una opzione ordinaria in centinaia di paesi.

Questa opzione è così ben presente a tutti che ci sono amministrazioni che rinunciano a porzioni di sovranità ben sapendo che l’attentato potrebbe arrivare da un momento all’altro.

Per questo ci sono gli attentati realmente accaduti e quelli che non accadono perché basta la consapevolezza che toccare certi interessi significa attivare una cambiale che giungerà inesorabilmente a scadenza.

Questo fenomeno si chiama sequestro di democrazia e le statistiche di Maroni non sono in grado di capirlo.

E che non ci si trovi sulla strada che inverte questa tendenza non ci vuole molto a capirlo.

Parliamo di solidarietà nei confronti di chi ha subito un attentato.

Una fiaccolata oggi non si nega a nessuno, tanto più se l’aria della sera è piacevole come in questo periodo in Sardegna.

Ma né le manifestazioni della popolazione, né le prese di posizione che vengono dall’esterno del paese, spostano di nulla gli equilibri malsani che gli attentati creano all’interno del contesto sociale.

“Oggi va bene così, ma domani saremo di nuovo tra di noi e saremo di nuovo noi a dettare le regole”, questo è ciò che pensano tranquilli i delinquenti attentatori.

Magari mentre sfilano insieme al resto della popolazione.

Popolazione di cui gran parte sa benissimo chi sono gli attentatori o perlomeno i mandanti, ma si guarda bene dal fare le uniche cose che veramente costituirebbero solidarietà per la vittima e acquisizione di responsabilità sociale; isolare socialmente i delinquenti e denunciarli alle autorità.

Niente di tutto questo e gli attentatori continuano tranquillamente a partecipare ai riti dell’inclusione sociale: le sere al bar, le feste paesane, le ricorrenze familiari e tutto ciò che costituisce il contesto sociale che regge lo svolgersi della vita quotidiana nei nostri paesi.

Mentre scrivo guardo la foto di Gian Paolo Marras accasciato, sconvolto e indifeso, su una poltrona e penso che ha la faccia del giusto e dell’uomo civile. Non avrebbe la stessa faccia l’uomo che pensa alla vendetta, a ricorrere alle armi della violenza, questa è una opzione che non gli appartiene e questo decreta l’incommensurabile distanza fra lui e coloro che si sono eletti a suoi nemici.

E’ la distanza tra la civiltà di chi ha scelto la democrazia, l’interesse generale e la barbarie di chi ha deciso che i propri interessi vengono prima di tutto e nonostante tutto.

Direi a Marras di non dimettersi solo se il suo paese, quella popolazione che lo ha eletto, prendesse posizione in maniera netta, cioè con gli atti concreti di cui parlavo prima, tra queste due opzioni inconciliabili.

Ma non è stato fatto finora e non sarà fatto in futuro.

Questo è ciò che io penso di questo fatto specifico; potrei fare anche dei ragionamenti più complessivi per provare a capire perché ci troviamo in questa situazione; lo farei a partire da tre elementi di crisi della Sardegna che ritengo fondamentali e che brevemente elenco:

1) Proprio con il fallimento dell’impresa per cui il sindaco di Ottana lavorava si chiude, e senza alternative, la storia della industrializzazione nelle zone interne dell’isola; un collasso produttivo ed economico, ma anche una devastazione sociale e culturale che si è abbattuta su economie fragili e contesti sociali squilibrati.

2) La sconfitta storica del mondo pastorale, incapace di proporsi con modelli produttivi moderni e di farsi classe dirigente nei paesi in cui è culturalmente egemone. Se, come pare, si uscirà dall’ultima durissima vertenza dei pastori con la concessione di un contributo/elemosina ad personam, questa sconfitta verrà definitivamente certificata.

3) La rovina disastrosa della scuola sarda. Grazie ai tagli Gelmini-Tremonti anche la scuola dell’obbligo è stata pressoché eliminata dai nostri paesi o permane in forme dequalificate.

Nonostante questo processo marciasse da tempo, indotto anche da un calo demografico impressionante, la classe politica sarda non è stata capace di elaborare modelli scolastici che fossero in grado di creare aggregazione fra comunità e nuova cultura in grado di confrontarsi con la contemporaneità. Ma finchè si penserà che la scuola si difende mantenendo in ogni paese presidi formati da manciate di alunni riuniti in pluriclassi, assistiti da pochi docenti demotivati si creerà solo ulteriore isolamento.

Di tutto questo mi piacerebbe parlare, ma non si trova molta gente che lo voglia fare